Sono vissuta per sei anni in una meravigliosa foresta del Karnataka, dove ho aiutato a fondare una scuola per bambini e ragazzi di diversa età e religione, in collaborazione con le famiglie e gli insegnanti. La natura lussureggiante, le palme da cocco cariche di frutti, le voci e i colori di tanti diversi uccelli, la danza dei pavoni quando aprono la coda, il ronzio delle api e il profumo del miele, il sole rosso al mattino e la luna d’oro la sera, tutto era un cantico al Creatore, e ogni creatura era al suo posto.
In questa cornice d’incanto arrivavano, verso le 9 del mattino, 9 pullman carichi di bambini e ragazzi, raccolti da villaggi sperduti nella foresta, e tutta la giornata era con loro, la nostra gioia era vederli crescere, imparare e giocare, finché nel pomeriggio tutti ripartivano e noi ci reimmergevamo nelle voci della foresta.
Ora qui a Chembur la vita è diversa, e l’aria non è così buona. Abbiamo aperto una piccola comunità alla periferia di Mumbai, dove in questi ultimi anni è cresciuto l’allarme inquinamento (industrie chimiche, traffico di mezzi pesanti, vicinanza della discarica di Deoar).
Gli abitanti hanno cercato di sollecitare provvedimenti governativi di risanamento ambientale, finora senza successo. Con l’aumento delle patologie i benestanti hanno abbandonato il quartiere ormai troppo contaminato, ma il calo degli affitti ha attirato molti nuovi abitanti, tanto che tra un grattacielo e l’altro è spuntato un sottobosco di casupole di mattoni, plastica e lamiera, dove la pluralità di etnie, religioni e lingue rende difficile la comunicazione anche tra vicini di casa: sono persone sfrattate da quartieri più costosi, sfollati dalle campagne, immigrati da altri Paesi, in fuga da fame e violenza.
La grande urgenza è costituita dall’istruzione e dall’integrazione: qui la minoranza cristiana è lievito fecondo di vita e la scuola cattolica, dalla materna alla secondaria, popolata da alunni di ogni lingua, etnia e religione, è semenzaio di una nuova generazione, plurale e solidale. Nelle aule, nei corridoi, nel grande prato della scuola, centinaia di bambini e ragazzi insieme ai loro insegnanti imparano a parlarsi e a interagire con gioia e rispetto reciproco, e anche l’educazione alla cura dell’ambiente fa parte dei programmi scolastici, fin da piccolissimi. Sono la speranza di Chembur.
Non ci si può capire e amare a distanza. Così questo nostro nuovo luogo di missione, caotico e multiforme, mi appare non meno splendido della foresta del Karnataka: nel traffico e nelle moltitudini in movimento durante il giorno, e dietro ogni luce che brilla di notte come in un presepio, so che ci sono creature magari esteticamente non cosi belle come quelle della foresta, ma infinitamente amate da Dio e ora che sono qui sono felice di condividerne la vita e quindi anche i disagi quotidiani e i rischi dell’inquinamento. “Missionarie sempre e dovunque”, diceva Luigia Tincani: una volta di più, sperimento la verità di queste parole.
In questa cornice d’incanto arrivavano, verso le 9 del mattino, 9 pullman carichi di bambini e ragazzi, raccolti da villaggi sperduti nella foresta, e tutta la giornata era con loro, la nostra gioia era vederli crescere, imparare e giocare, finché nel pomeriggio tutti ripartivano e noi ci reimmergevamo nelle voci della foresta.
Ora qui a Chembur la vita è diversa, e l’aria non è così buona. Abbiamo aperto una piccola comunità alla periferia di Mumbai, dove in questi ultimi anni è cresciuto l’allarme inquinamento (industrie chimiche, traffico di mezzi pesanti, vicinanza della discarica di Deoar).
Gli abitanti hanno cercato di sollecitare provvedimenti governativi di risanamento ambientale, finora senza successo. Con l’aumento delle patologie i benestanti hanno abbandonato il quartiere ormai troppo contaminato, ma il calo degli affitti ha attirato molti nuovi abitanti, tanto che tra un grattacielo e l’altro è spuntato un sottobosco di casupole di mattoni, plastica e lamiera, dove la pluralità di etnie, religioni e lingue rende difficile la comunicazione anche tra vicini di casa: sono persone sfrattate da quartieri più costosi, sfollati dalle campagne, immigrati da altri Paesi, in fuga da fame e violenza.
La grande urgenza è costituita dall’istruzione e dall’integrazione: qui la minoranza cristiana è lievito fecondo di vita e la scuola cattolica, dalla materna alla secondaria, popolata da alunni di ogni lingua, etnia e religione, è semenzaio di una nuova generazione, plurale e solidale. Nelle aule, nei corridoi, nel grande prato della scuola, centinaia di bambini e ragazzi insieme ai loro insegnanti imparano a parlarsi e a interagire con gioia e rispetto reciproco, e anche l’educazione alla cura dell’ambiente fa parte dei programmi scolastici, fin da piccolissimi. Sono la speranza di Chembur.
Non ci si può capire e amare a distanza. Così questo nostro nuovo luogo di missione, caotico e multiforme, mi appare non meno splendido della foresta del Karnataka: nel traffico e nelle moltitudini in movimento durante il giorno, e dietro ogni luce che brilla di notte come in un presepio, so che ci sono creature magari esteticamente non cosi belle come quelle della foresta, ma infinitamente amate da Dio e ora che sono qui sono felice di condividerne la vita e quindi anche i disagi quotidiani e i rischi dell’inquinamento. “Missionarie sempre e dovunque”, diceva Luigia Tincani: una volta di più, sperimento la verità di queste parole.