Mentre luccicano ovunque, nelle strategie di marketing dispiegate per la necessaria ripartenza dei consumi, gli auguri per le “festività stagionali”, anche il Calendario dell’Avvento è in offerta con cioccolatini e altre attrazioni per bambini e per adulti con nostalgie della propria infanzia.
In un mondo che ha poche certezze, le speranze di “ripresa e resilienza” sono affidate alla competenza di politici, economisti, scienziati, e ancor più alla fatica di chi lavora o fa volontariato, cioè all’impegno “delle famiglie e delle imprese”. Ma sembra di doversi limitare a previsioni più o meno ottimistiche, continuamente alle prese con le varianti – sanitarie, geopolitiche, ecologiche, finanziarie – che mettono alla prova i bilanci delle famiglie come degli Stati.
Così anche l’Avvento cristiano – tempo liturgico che ripercorre il cammino di Dio verso l’uomo, all’interno della storia – sembra svuotarsi della percezione di un arrivo (“Ecco colui che prende su di sé il peccato del mondo”, Gv 1,29), e anche dalla percezione di una presenza ininterrotta nella nostra storia (“Io sono con voi tutti i giorni fino alla pienezza del tempo”, Mt 28,20).
Eppure, paradossalmente, gli improbabili camuffamenti di questo Avvento, proprio mentre riducono l’alacrità del cammino dell’uomo alla ricerca di Dio, possono ridare consapevolezza dell’iniziativa del cammino di Dio alla ricerca dell’uomo, come già evidenziava il filosofo ebreo Abraham Heschel.
I nostri interrogativi, le nostre attese, le nostre preghiere, non sono che risposte – per lo più goffe e inadeguate – a Colui che viene a cercarci e a condividere il nostro cammino.
E l’essenziale non è trovarLo, ma lasciarci trovare da Lui. Caterina da Siena coglieva il paradosso di un Dio che alla preghiera del cristiano – “Signore, non sono degno che tu entri in me” – risponde: “io però sono degno di entrare in te!” (Legenda maior, 192).
“Non ci sono risposte facili a problemi complessi – ha ricordato papa Francesco nel centro di accoglienza dei rifugiati a Mytilene –; c’è invece la necessità di accompagnare i processi dal di dentro”.
Dio ci prende sul serio. E se ce ne accorgiamo, la vita cambia.
Così anche l’Avvento cristiano – tempo liturgico che ripercorre il cammino di Dio verso l’uomo, all’interno della storia – sembra svuotarsi della percezione di un arrivo (“Ecco colui che prende su di sé il peccato del mondo”, Gv 1,29), e anche dalla percezione di una presenza ininterrotta nella nostra storia (“Io sono con voi tutti i giorni fino alla pienezza del tempo”, Mt 28,20).
Eppure, paradossalmente, gli improbabili camuffamenti di questo Avvento, proprio mentre riducono l’alacrità del cammino dell’uomo alla ricerca di Dio, possono ridare consapevolezza dell’iniziativa del cammino di Dio alla ricerca dell’uomo, come già evidenziava il filosofo ebreo Abraham Heschel.
I nostri interrogativi, le nostre attese, le nostre preghiere, non sono che risposte – per lo più goffe e inadeguate – a Colui che viene a cercarci e a condividere il nostro cammino.
E l’essenziale non è trovarLo, ma lasciarci trovare da Lui. Caterina da Siena coglieva il paradosso di un Dio che alla preghiera del cristiano – “Signore, non sono degno che tu entri in me” – risponde: “io però sono degno di entrare in te!” (Legenda maior, 192).
“Non ci sono risposte facili a problemi complessi – ha ricordato papa Francesco nel centro di accoglienza dei rifugiati a Mytilene –; c’è invece la necessità di accompagnare i processi dal di dentro”.
Dio ci prende sul serio. E se ce ne accorgiamo, la vita cambia.