Oggi ci si interroga sul futuro dell’uomo, in un pianeta-terra colorato da gesti di sensibilità e solidarietà generosa, che maturano le coscienze e fanno avanzare le società. Ma lo stesso pianeta è anche fortemente compromesso da egoismi ottusi e irresponsabili resi talora devastanti da un progresso scientifico e tecnologico che si era ipotizzato capace di liberare il potenziale umano verso orizzonti sconfinati.
Se poi, in alternativa al Postumano, si esplora il mondo del +Umano, ci accorgiamo che esso prospetta oggi le vie di un potenziamento tecnologico che appare misero surrogato di umana pienezza: dalla ricerca dell’elisir di lunga vita alle realizzazioni della chirugia plastica e alle protesi bioniche o – più audacemente – alla crioconservazione, l’uomo per sua natura non vuole “scomparire dall’esistenza” – come dichiara qualche candidato all’ibernazione – e non vuole perdere il patrimonio di affetti che ha sperimentato in vita. La foscoliana “gioia” dei sepolcri (“sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha nell’urna”) appare consolazione assolutamente inadeguata alle potenzialità di cui l’uomo si sente portatore.
Se poi, in alternativa al Postumano, si esplora il mondo del +Umano, ci accorgiamo che esso prospetta oggi le vie di un potenziamento tecnologico che appare misero surrogato di umana pienezza: dalla ricerca dell’elisir di lunga vita alle realizzazioni della chirugia plastica e alle protesi bioniche o – più audacemente – alla crioconservazione, l’uomo per sua natura non vuole “scomparire dall’esistenza” – come dichiara qualche candidato all’ibernazione – e non vuole perdere il patrimonio di affetti che ha sperimentato in vita. La foscoliana “gioia” dei sepolcri (“sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha nell’urna”) appare consolazione assolutamente inadeguata alle potenzialità di cui l’uomo si sente portatore.
Ma vivere non vuol dire sopravvivere e neanche prolungare all’infinito un tempo che è, per sua natura, precario e contraddittorio.
Da giovane, il Faust goethiano era convinto che nessun attimo della vita terrena avrebbe potuto essere tanto bello da desiderare di trasformarlo in un eterno presente; ma divenuto poi vecchio, cieco e tentato dalla depressione, sognerà un mondo reso felice dall’ingegno umano, un mondo ideale in cui si sarebbe potuto dire «Attimo, rimani: sei così bello!» senza temere che quell’attimo diventasse passato. Dio non smentisce quel sogno, perché è Lui che ha messo nel cuore dell’uomo la nozione dell’eternità, cioè “la durata dei tempi” (Qo 3,11) –, e quindi l’aspirazione ad affrancarsi dalla successione del tempo. Nel mito greco Chronos divora i suoi figli, ma l’uomo per sua natura aspira ad entrare nell’eterno, cioè nella dimensione di un presente durevole, immune dagli avvicendamenti temporali: Colui che “ha fatto bella ogni cosa nel suo proprio tempo” e quindi nella sua fragilità, ha creato l’uomo per essere partecipe della Sua stessa vita: “questa è la promessa che egli ci ha fatto, la vita eterna” (1Gv 2, 25).
Ed è questo il “trasumanare” che costituiva per Dante (Par. I 70) l’orizzonte proprio della natura umana: un travalicare l’umano senza distruggerlo nel post-umano. Perché “la gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (Ireneo di Lione IV 20,7). Ma in quanto dono di un’amicizia gratuita e appassionata, tutto questo va ben al di là delle ingegnosità dell’uomo, pur tanto preziose per il suo soggiorno nel tempo. La Pasqua ci lascia così, nelle nostre giornate caotiche e dispersive, un richiamo alla consapevolezza di noi stessi, a partire dagli strati più profondi del nostro sentire. Da non mettere a tacere.
Da giovane, il Faust goethiano era convinto che nessun attimo della vita terrena avrebbe potuto essere tanto bello da desiderare di trasformarlo in un eterno presente; ma divenuto poi vecchio, cieco e tentato dalla depressione, sognerà un mondo reso felice dall’ingegno umano, un mondo ideale in cui si sarebbe potuto dire «Attimo, rimani: sei così bello!» senza temere che quell’attimo diventasse passato. Dio non smentisce quel sogno, perché è Lui che ha messo nel cuore dell’uomo la nozione dell’eternità, cioè “la durata dei tempi” (Qo 3,11) –, e quindi l’aspirazione ad affrancarsi dalla successione del tempo. Nel mito greco Chronos divora i suoi figli, ma l’uomo per sua natura aspira ad entrare nell’eterno, cioè nella dimensione di un presente durevole, immune dagli avvicendamenti temporali: Colui che “ha fatto bella ogni cosa nel suo proprio tempo” e quindi nella sua fragilità, ha creato l’uomo per essere partecipe della Sua stessa vita: “questa è la promessa che egli ci ha fatto, la vita eterna” (1Gv 2, 25).
Ed è questo il “trasumanare” che costituiva per Dante (Par. I 70) l’orizzonte proprio della natura umana: un travalicare l’umano senza distruggerlo nel post-umano. Perché “la gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (Ireneo di Lione IV 20,7). Ma in quanto dono di un’amicizia gratuita e appassionata, tutto questo va ben al di là delle ingegnosità dell’uomo, pur tanto preziose per il suo soggiorno nel tempo. La Pasqua ci lascia così, nelle nostre giornate caotiche e dispersive, un richiamo alla consapevolezza di noi stessi, a partire dagli strati più profondi del nostro sentire. Da non mettere a tacere.