M. sta compilando il modulo di richiesta di prodotti per l’igiene personale e vestiario, distribuiti settimanalmente dall’associazione di volontari carcerari in cui presto servizio. Guardandolo con l’occhio clinico di insegnante in pensione, mi viene spontaneo osservare:
«Che bella grafia! Che mestiere fai fuori di qui?»
«Il ladro. Ho sempre fatto il ladro». Sorrido, pensando a certi films di Totò: «Che bel mestiere! Complimenti!». Si è creata una certa empatia. «Guarda le mie mani, possono essere solo mani di ladro!»; e poi sbotta: «Signora, ho bisogno di lavorare, io: ho tre figli e un quarto in arrivo». Ecco, la corteccia del ruolo (ladro – detenuto) si è sgretolata ed è affiorato l’uomo, mio fratello. E allora gli dico: «Insegnerai mica anche ai tuoi figli, a rubare?» Si accalora: «I bambini non si adoperano! Al lavoro penso io. Anzi, sapete, quando mi capitano… persone anziane, torno indietro: le persone anziane non si toccano» Scherzo: «Allora io posso stare tranquilla!» «Voi? A voi dovrei solo fare un monumento, per il gran bene che ci fate. Dio vi deve ricompensare!».