Un virus, il Covid 19, il pomeriggio del 5 marzo, mentre si svolgeva l’abituale Consiglio di Classe, ha deciso la chiusura delle scuole riuscendo ad imporre la sua “legge” là, dove persino due conflitti mondiali, non avevano potuto.
La Didattica a Distanza (DaD) è diventata così la novità che ha riempito la “forzata” quotidianità nelle case, sia per gli studenti sia per gli insegnanti. Le difficoltà sono state diverse e di varia natura. Quelle tecnologiche, le prime a manifestarsi, sono state anche le prime a risolversi, grazie al massiccio intervento della scuola che ha distribuito tablet e schede sim a tutti i ragazzi che ne avevano bisogno. Un’altra difficoltà è stata la resistenza, da parte di alcuni studenti, a dover accendere la videocamera per farsi vedere dagli insegnanti e dai compagni. Si è parlato poco di questa difficoltà e, quando lo si è fatto, ci si è limitati a giudicare i ragazzi come indisciplinati. Sicuramente qualcuno lo è stato, ma non tutti, perché dietro quell’indugiare c’era qualcosa di prezioso: la salvaguardia di una verità che per pudore e rispetto dei propri cari non si voleva svelare.
Non ci si è resi conto che si è entrati, senza chiedere permesso, nelle case e nelle camere (per chi ce l’ha) di questi giovani, violando il loro mondo più nascosto e personale, parte dei loro segreti, quello che tra i banchi spesso non viene fuori. Così di alcuni abbiamo conosciuto, condividendole anche con una risata, le passioni più nascoste, attraverso i poster alle pareti della loro stanza; ma di altri abbiamo scoperto con dolore e con stupore la loro povertà, le difficoltà quotidiane che affrontano con la loro famiglia numerosa, per vivere e per studiare in pochi metri quadrati. Non sappiamo quanto sia costato a questi ragazzi accendere la videocamera, ma sappiamo di avere avuto di fronte, tanti piccoli “giganti” che, nonostante la loro giovane età, sanno vivere con dignità senza mai lamentarsi senza approfittarsene la loro condizione precaria, sorprendendoci per la grande lezione di umiltà che questa volta è stata data a noi.
Non ci si è resi conto che si è entrati, senza chiedere permesso, nelle case e nelle camere (per chi ce l’ha) di questi giovani, violando il loro mondo più nascosto e personale, parte dei loro segreti, quello che tra i banchi spesso non viene fuori. Così di alcuni abbiamo conosciuto, condividendole anche con una risata, le passioni più nascoste, attraverso i poster alle pareti della loro stanza; ma di altri abbiamo scoperto con dolore e con stupore la loro povertà, le difficoltà quotidiane che affrontano con la loro famiglia numerosa, per vivere e per studiare in pochi metri quadrati. Non sappiamo quanto sia costato a questi ragazzi accendere la videocamera, ma sappiamo di avere avuto di fronte, tanti piccoli “giganti” che, nonostante la loro giovane età, sanno vivere con dignità senza mai lamentarsi senza approfittarsene la loro condizione precaria, sorprendendoci per la grande lezione di umiltà che questa volta è stata data a noi.
Attraverso i collegamenti quotidiani con gli alunni delle varie classi, la didattica ha continuato così il suo corso, i contenuti sono stati trasmessi e approfonditi, spesso anche con l’ausilio di più sistemi tecnologici, decuplicando l’impegno e il lavoro che non ha avuto più un orario.
In questo modo si è sperimentato un nuovo modo d’insegnare e un nuovo modo di apprendere, che non possiamo comunque definire “scuola”.
Questa breve parola non racchiude in sé solo una didattica ben organizzata e strutturata, ma molto di più. È innanzitutto un luogo, dove sin da bambini si trascorre la maggior parte della giornata, divenendo per tutti una seconda casa. L’unico luogo che non si dimenticherà mai perché soltanto lì si vive tra compagni, così come tra studenti e insegnanti, quel misterioso scambio di emozioni, di complicità, di stati d’animo, di sguardi che leggono e parlano, di sorrisi e, soprattutto, di crescita reciproca.
Questa breve parola non racchiude in sé solo una didattica ben organizzata e strutturata, ma molto di più. È innanzitutto un luogo, dove sin da bambini si trascorre la maggior parte della giornata, divenendo per tutti una seconda casa. L’unico luogo che non si dimenticherà mai perché soltanto lì si vive tra compagni, così come tra studenti e insegnanti, quel misterioso scambio di emozioni, di complicità, di stati d’animo, di sguardi che leggono e parlano, di sorrisi e, soprattutto, di crescita reciproca.
Lo svolgimento degli esami di Maturità in presenza, non ha fatto altro che confermare tutto ciò. Nonostante le dovute precauzioni che ci hanno costretto ad indossare la mascherina per molte ore (anche 11!), la distanza tra noi insegnanti e la sistemazione degli studenti in un banco ancora più distante e dietro uno schermo in plexiglas, l’emozione di ritornare in aula è stata veramente forte per tutti.
Potersi guardare nuovamente negli occhi, accompagnare ogni singolo studente nel breve tragitto dall’aula di “attesa” a quella degli esami, incoraggiandolo con le parole che solo il suo insegnante sa essere quelle “giuste” per lui, trasmettergli quella sicurezza e serenità che prima di un esame si cerca in colui di cui ci si fida, porgere un fazzoletto per asciugare e condividere le lacrime di gioia di questi ragazzi per aver finito con soddisfazione gli esami, ma anche di malinconia per un capitolo importante della propria vita che si chiude, pronti per affrontarne uno nuovo e del tutto sconosciuto, è stata la conferma che la scuola non è solo trasmissione di nozioni, ma soprattutto relazione umana, scambio di emozioni… camminare insieme insegnante e studente, che nessuna DaD o realtà virtuale sarà mai in grado di sostituire!
Gina