La chiusura delle scuole a causa della pandemia ci ha portato ad esperienze nuove e ci ha messo di fronte a varie sfide. È stato duro, specialmente all’inizio, sia per gli insegnanti, sia per i ragazzi come per i loro genitori. Ci siamo adattati, ce la siamo cavata. L’anno scolastico e’ finito. Cosa ne rimane? Tra le varie sensazioni vorrei condividerne una.
Mi ricordo come una valente collega si „lamentasse” per alcuni suoi ex allievi che non si facevano più vivi una volta terminata la scuola: Come è possibile che questi bravi ragazzi e ragazze con i quali ho discusso a lungo e approfonditamente su problemi vari, ho condiviso le idee e i dubbi, ho riso e ho pianto, finita la scuola se ne vadano e non si facciano piu sentire? Ma si rendono conto che non sono stati gli uni tra i tanti, ma che ognuno è unico per me, ad ognuno ho dato il meglio di me: la conscenza di quanto insegno, l’attenzione, il tempo, l’amore, l’esperienza, le notti di ricerche per dare qualche impulso in più, per svegliare qualcosa nella mente e nel cuore?
"Ora che siamo gia arrivati alla fine e i voti definitivi sono stati assegnati, anch'io sono stupita e dispiaciuta per il comportamento dei ragazzi che nel periodo d’insegnamento a distanza non si sono fatti vivi. Ho fatto tutto quello che potevo ed anche oltre. All’inizio ho pensato che non avessero il computer a casa o traffico dati a sufficenza per seguire tutte le lezioni. Poi, assicurata dai tutor delle classi che ognuno dei ragazzi poteva essere contattato, li giustificavo per l’incremento dell’impegno richiesto loro nel momento presente. Ma è possibile che un ragazzo non cerchi un contatto quando non riceve le lezioni dell’una o dell’altra materia? Oppure che dica di non ricevere il materiale da studiare mentre invece sfrutta l’occasione per scegliere di fare solo il minimo indispensabile per essere promosso? Qui non c'è volontà di comunicare! E puoi avere dieci telefonini e altrettanti computer in casa ma se tu non vuoi comunicare, non servono a niente."
Mi ricordo l'emozione di quando da ragazza ho scoperto che „l’insegnante è un essere umano anche lui”. Non è uno che sta contro di me, ma uno come me con cui posso parlare non solo della materia che insegna.
L’isolamento sociale forzato dalla pandemia non ci ha certo aiutato, è stato duro per i nostri allievi, ma anche per gli insegnanti. Ci mancano gli altri, il contatto con la persona viva e vera, non chiusa dietro lo schermo del computer o del cellulare. Ma che cosa sentono e capiscono i nostri ragazzi? Sono capaci di immaginarsi che l’insegnante sente la loro mancanza?
Impareremo qualcosa da questa esperienza? Gli insegnanti per forza e rapidamente si sono educati alle nuove tecnologie e ai mezzi di comunicazione sociale. E i ragazzi? Secondo me, sapranno trarre ventaggi da questo periodo coloro che sanno organizzare il proprio tempo e sono disciplinati. Due capacità importanti ma non comuni e che forse non si possono trasmettere o insegnare ma si devono volere. Certamente quelli tra i miei alunni che non si sono fatti vivi per tutti i tre mesi dell’insegnamento a distanza non avevano queste doti.
Credo che la colpa non sia stata dalla parte delle tecnologie (il computer vecchio o nuovo, l’internet veloce o lento) ma è l’uomo che ha bisogno di conoscersi e governarsi nella novità del mondo che cambia: ogni ragazzo deve scoprire che è un essere umano sia che abbia l’internet o no, che usi il cellulare o no. Sei in relazione „con”, cerca quindi il contatto ad ogni costo, pensa non solo a te, ma all'altro, agli altri. Fatti avanti, chiedi. Non aspettare che le cose vadano a ruota libera, le mani al volante della tua vita tienile tu.
Traspare un po’ di sorpresa e di amarezza nelle mie riflessioni, ma onestamente devo dire che ci sono stati anche dei raggi di sole e di speranza in tutta questa esperienza. Ma di questo parlero’ forse un’altra volta…
Agnieszka
Agnieszka