Una educatrice lotta contro una bambina. La prima vuole a tutti i costi insegnare qualcosa, l’altra vuole che tutto vada come vuole lei, perciò terrorizza tutti intorno con il suo comportamento, qualche volta simile a un animaletto selvatico. Chi ricorda “Anna dei miracoli”? Era un vecchio film (1962) con Anne Bancroft e Patty Duke, narrava una storia vera, la vicenda di Hellen Keller (1880-1968), una bambina sordomuta e cieca, e della sua educatrice. Difficile dire chi è la protagonista: l’insegnante, Anne Sullivan, ipovedente, ma con un carattere forte e ostinato, oppure Hellen, anche lei testarda ma molto intelligente. Tutto il film si concentra sulla sfida tra loro due.
Il film si presta a molte letture e riflessioni, ma io parto dalla mia esperienza di insegnante. Da 10 anni lavoro con i bambini, in scuole materne ed elementari, private o statali, e spesso sono stata animatrice, con altri giovani, nei campeggi: quasi in ogni gruppo c’era almeno un bambino simile a Helen – chiuso in sé, ma contemporaneamente proteso a cercare di comunicare con l’esterno nell’unico modo con cui riusciva a farlo, cioè comportandosi male.
C’è una vasta bibliografia sulle cause di tali situazioni e le diagnosi sono tante – mancanza di educazione in famiglia, mancanza dei genitori, sorveglianza eccessiva, videogiochi, Internet, mancanza di movimento fisico, incompetenza degli educatori, ecc. Ognuno può aggiungere qualcosa e forse con ragione. Ma la realtà è questa: non possiamo provare a cambiare il mondo intorna a noi, ma non possiamo cambiare le persone; non scelgo gli alunni che ho in classe e non posso far scomparire i problemi delle persone. Nessuna speranza?Anche ad Anne sembrava così. Aveva escogitato vari stratagemmi per trasformare Hellen in una persona dai comportamenti civili, per salvarla da un destino crudele, anche con metodi che oggi sarebbero inaccettabili. E in qualche modo era riuscita: la bambina aveva cominciato a mangiare con la forchetta, a pettinarsi, a non urlare quando voleva qualcosa. A volte anche a me, in classe, mi viene da pensare: “Vorrei soltanto che Marco o Sofia stesse tranquillo/tranquilla per cinque minuti, si comportasse in modo civile almeno fino alla fine dell’ora di lezione!”.
Anne ha intuito che questo risultato non valeva molto: qualunque comportamento buono potrebbe improvvisamente cambiare, perché basato su un addestramento e sulla costrizione. E’ un po’ come nel “Mito della caverna” di Platone: io, che sono l’educatore, ti libererò dalle catene e ti porterò nel mondo vero, fuori dalla caverna. Ma non funzionerà. L’alunno tornerà prima o poi al modo di vivere precedente, perché è qualcosa di suo, che lui conosce. Non ci sarà vero cambiamento se non si toglie lui le catene, se non si alza e comincia a camminare lui verso l’uscita, sia pure con il sostegno dell’educatore. Deve venire il momento in cui scatta qualcosa: non può farlo l’educatore, può accadere solo nell’alunno. E’ come quando si spiega un indovinello complicato: magari te lo spiegano cinque volte e non capisci niente, ma la sesta volta scatta qualcosa e si capisce tutto in un momento: chissà perché prima sembrava tanto difficile! L’educatore è importante, ma come uno che accompagna: lui spiega come fare, ma non può fare il salto al posto dell’alunno. Deve stargli vicino, spiegare in tutti i modi possibili, cercare di essere paziente, soprattutto, perché non si sa in quale momento il “miracolo” accade. Quel vecchio film lo mostrava in modo efficace e per chi opera nel campo educativo stimola riflessioni preziose.
Ma dove prendere le forze per essere paziente nell’aspettare? Per un cristiano la risposta dovrebbe essere semplice, ma non posso dire che è sempre facile: qualche volta mi è mancata la pazienza, perchè “non c’è tempo”, “così è più facile”, “ci sono altri bambini vicino”... Le parabole di Gesù, però, ci hanno insegnato che dopo tante parole seminate apparentemente a vuoto, in 2000 anni molte sono via via arrivate in terra buona e il Vangelo cresce e si moltiplica nel mondo. Senza la fiducia che ci sarà il momento dell’accendersi della persona, educare non avrebbe senso. E chissà quante volte un educatore qualunque è diventato “operatore di miracoli” senza saperlo?